domenica 6 settembre 2020

Quel che ci possiamo permettere


Quel che ci possiamo permettere. Si può governare i propri istinti come un giardiniere e, cosa che sono pochi a sapere, si può coltivare i germi dell’ira, della pietà, del ruminio mentale, della vanità, in maniera tanto feconda e profittevole come un bel frutteto a spalliera; si può fare tutto questo col buono o col cattivo gusto di un giardiniere e, per così dire, alla maniera francese o inglese o olandese o cinese; si può anche lasciar comandare la natura e limitarsi a curare qua e là un pò di abbellimento e di pulizia; infine si può anche, senza la minima avvertenza e riflessione, lasciar crescere le piante nelle loro naturali condizioni favorevoli e svantaggiose, e permettere che ingaggino tra loro una lotta mortale sì, possiamo trovare una nostra gioia in questo rigoglio selvaggio, e proprio questa gioia è quello che vogliamo, anche se non va disgiunta dalla pena estrema. Tutto questo ci possiamo permettere: ma quanti sono a saperlo? Non credono, per lo più, a se stessi, come a compiuti dati di fatto definitivamente sviluppati? Non hanno grandi filosofi stampato il loro suggello su questo pregiudizio con la dottrina dell’inalterabilità del carattere?

Friedrich Nietzsche
da Aurora
aforisma 560


martedì 25 agosto 2020

25 agosto del 1900 muore Friedrich Nietzsche

la Repubblica - Venerdì, 25 agosto 2000 - pagina 44
di UMBERTO GALIMBERTI

IL TEMPO DELLA MASCHERA

CENTO ANNI FA LA MORTE DEL FILOSOFO Il 25 agosto del 1900, dopo una decennale malattia che lo aveva ridotto al silenzio, moriva il più celebre fra i pensatori controversi In che misura siamo ancora eredi delle sue teorie? Del Novecento previde con chiarezza il sorgere del nichilismo, il crollo del vecchio ordinamento mondiale e la democrazia L' amico e discepolo Peter Gast tenne l' orazione funebre nel cimitero parrocchiale di Rochen dove fu sepolto accanto al padre

Cento anni fa, proprio il 25 agosto 1900, sei settimane prima del suo cinquantaseiesimo compleanno, moriva Friedrich Nietzsche. Durante i precedenti due anni non aveva saputo nulla, sentito nulla, pensato nulla. Per quel che possiamo dire, non sapeva che la madre era morta né che egli si trovava a Weimar. Non sapeva di essere famoso, né che la sua fama poggiava sulla conferma di quasi tutto quello che aveva pensato. Quando morì, non sapeva di vivere da quasi otto mesi nel XX secolo, della cui prossima storia aveva previsto tanto e con tanta chiarezza il secolo del "sorgere del nichilismo" e del crollo del vecchio ordinamento mondiale; la "classica età della guerra" e della "politica su larga scala" che avrebbe tratto le ultime conclusioni della "morte di Dio" e della scomparsa di ogni sanzione per la morale; l' età in cui la democratizzazione dell' Europa centrale avrebbe offerto un "involontario campo di cultura alla tirannia" e in cui gli insegnamenti di Hegel ("la marcia della storia") e di Darwin ("la sopravvivenza dei più forti") sarebbero diventati realtà pratiche e avrebbero ridotto gli individui ad "animali o automi". Il secolo in cui la volontà di potenza, non sublimata e non frenata dalle costrizioni che ancora si imponevano al XIX secolo, si sarebbe impadronita dovunque delle leve del potere, in cui "questo maledetto antisemitismo" avrebbe offerto l' occasione e il movente all' ultimo dei delitti nichilistici, e in cui la sua teoria che "un popolo dalla forte volontà di potenza, privato della soddisfazione esteriore, vorrà la propria distruzione piuttosto che non volere affatto" sarebbe stata dimostrata con terribile compiutezza dalla disperata e tremenda esperienza del Reich. L' amico e "discepolo" Peter Gast, che l' anno precedente, insieme a Elisabeth, sorella di Nietzsche aveva dato inizio alla terza edizione Omnia delle opere del filosofo, tenne l' orazione funebre nel cimitero parrocchiale di Rochen dove Nietzsche veniva sepolto accanto al padre, e, visibilmente commosso, ma anche rivelando quanto poco avesse capito del suo "Maestro", chiuse il suo indirizzo con queste parole "Pace alle tue ceneri! Santo sia il tuo nome a tutte le generazioni future!". In Ecce Homo Nietzsche aveva scritto "Ho una terribile paura che un giorno mi chiameranno Santo". Aveva previsto anche questo. Oggi, a un secolo dalla morte, di tutte le sue profezie vogliamo mettere a fuoco quella per cui Nietzsche è noto a tutti l' annuncio della morte di Dio, del Dio cristiano naturalmente, per cui la morte di Dio significa la fine del Cristianesimo come religione dell' Occidente. Ci accompagna in questa lettura un brevissimo e bellissimo testo di Carlo Angelino, Il "terribile segreto" di Nietzsche (Il Melangolo, pagg. 80, lire 15.000) dove si discute il convincimento di Nietzsche secondo il quale il Cristianesimo è nato ed è morto anche se la sua agonia è durata duemila anni, quando i discepoli di Gesù non hanno perdonato i suoi nemici. L' argomentazione di questa tesi (che troviamo nell' Anticristo, opera scritta lo stesso anno, 1889, in cui Nietzsche cadde nella buia notte della follia), prende le mosse dalla convinzione che per il Cristianesimo "é in sé completamente indifferente il fatto che una cosa sia vera o no, ma è estremamente importante, invece, fino a che punto sia creduta. Così ad esempio, se è insita una felicità nei credenti redenti dal peccato, come premessa di ciò, non è necessario che l' uomo sia peccatore, ma che si senta peccatore" (Anticristo, pagg. 191 dell' edizione Adelphi). In questo modo il Cristianesimo ha sostituito la verità con la fede che qualcosa sia vero. Anzi alla ricerca della verità ha posto un "divieto", e ha sostituito questa, che è la più autentica delle virtù, con le virtù teologali fede, speranza e carità, che sono tre "accorgimenti" a cui il Cristianesimo è ricorso per distogliere l' uomo dalla ricerca della verità, e poterlo così "signoreggiare, addomesticare, dominare". Fu così che il Cristianesimo sostituì alla "lotta contro il dolore", che ritroviamo in ogni religione della natura, la "lotta contro il peccato", concepibile solo di fronte a una legge. Ma dov' è l' origine della legge se non nella casta sacerdotale che la promulga e riesce a imporla? All' inizio non c' era legge nella religione ebraica i cui tratti essenziali erano quelli tipici di ogni religione, dove sono codificati i precetti che regolano il rapporto originario dell' uomo con la natura "Il culto divino era, nell' antichità ebraica, natura, era il vertice della vita, e chiarirne l' altezza e la profondità costituiva il suo significato autentico" (pagina 193). Poi, a seguito della cattività in Babilonia, questa religione andò incontro a un processo di "denaturalizzazione (denaturierung)" e il concetto di dio passò "nelle mani di agitatori sacerdotali" che ne fecero uno strumento di potere sui loro fedeli. Nel Deuteronomio, infatti, emerge la legge, e alle nozioni naturali di causa ed effetto subentrarono le nozioni antinaturali di premio e castigo che facevano riferimento non più "alle condizioni di vita e di sviluppo di un popolo, ma a quell' unica condizione che si oppone alla vita che è la nozione di peccato" (pagina 197). A questo punto i peccati, "che sono caratteristici appigli per l' esercizio del potere, diventano indispensabili. Il prete vive di peccati, per lui è necessario che si pecchi. Principio supremo dio perdona chi fa penitenza - o più chiaramente chi si sottomette al prete - (pagina 198-199). Contro questa impostazione dell' ordine religioso muove la sua azione Gesù, che per Nietzsche non è il "Cristo della fede", ma il "Gesù storico", che i Vangeli presentano come il ribelle che si oppone "a tutto ciò che era ecclesiastico e teologico", una sorta di "santo anarchico", un "delinquente politico" condannato perciò a subire "per colpa sua" la condanna della croce. Alla "negazione della dottrina ecclesiastica ebraica" Gesù affianca l' annuncio della buona novella a cui mancano sia la nozione di colpa che quella di castigo; il peccato come segno di distanza tra l' uomo e dio è eliminato, mentre la beatitudine, che scaturisce dall' innocenza infantile, diventa pratica di vita "La vita di Gesù non è stata nient' altro che questa pratica di vita - anche la sua morte non fu altro. Egli sa che solo con la pratica di vita ci si poteva sentire "divini", "beati", "evangelici", "figli di dio" in qualsiasi momento. Non la penitenza, non la preghiera per il perdono sono le vie che conducono a dio, soltanto la pratica evangelica porta a dio, essa appunto è "dio". Ciò che fu liquidato con l' Evangelo fu l' ebraismo delle nozioni di "peccato", "remissione dei peccati", "fede", "redenzione mediante la fede", l' intera dottrina ecclesiastica ebraica era negata nella "buona novella"" (pagina 208). Ma, prosegue Nietzsche il Vangelo morì sulla croce. Ciò che da quel momento è chiamato "buona novella" o "vangelo" era già l' antitesi di quel che lui aveva vissuto una "cattiva novella" un Dysangelium (pagina 214). Come ha potuto accadere questa metamorfosi che trasformò la pratica di vita di Gesù in una nuova chiesa in tutto simile alla chiesa dell' ebraismo? Accadde, a parere di Nietzsche, ad opera dei discepoli di Gesù che "non perdonarono quella morte - il che sarebbe stato evangelico nel più alto senso; e al perdono subentrò il sentimento meno evangelico, la vendetta. Questa si tradusse nell' innalzare Gesù in una maniera aberrante, di distaccarlo da loro, proprio allo stesso modo con cui una volta gli ebrei, per vendicarsi dei loro nemici, avevano separato da sé il loro Dio e lo avevano portato in alto. Il Dio unico e il figlio unico di Dio entrambi prodotti del risentimento" (pagine 217-218). L' artefice massimo di questa trasformazione del messaggio originario di Gesù fu Paolo "Questo genio dell' odio che, nella visione dell' odio e nella spietata logica dell' odio ereditato dall' istinto sacerdotale ebraico, trasformò la "buona novella" nella peggiore fra tutte. Per questo falsificò la storia di Israele affinché apparisse come la preistoria della sua azione tutti i profeti hanno parlato del suo "redentore". Poi la chiesa falsificò la storia dell' umanità facendone la preistoria del Cristianesimo" (pagine 219-220). Come ogni sacerdote, Paolo aspirava alla potenza e, per ottenerla, si servì della menzogna "Quel che lui stesso non credeva, gli idioti, tra cui egli gettò la sua dottrina, lo credettero; così riuscì a realizzare la tirannia dei sacerdoti, per formare delle mandrie la fede nell' immortalità - vale a dire la dottrina del "giudizio"" (pagina 220). Oggi, alla luce della morte di Dio, scrive Nietzsche è indecoroso essere cristiani; un teologo, un prete, il papa, non soltanto errano, ma mentono in ogni frase che proferiscono; anche il prete sa che Dio non esiste, che non c' è nessun peccatore, nessun redentore", perciò, recita l' ultima pagina dell' Anticristo "Sono giunto alla conclusione ed esprimo il mio giudizio. Io condanno il cristianesimo, levo contro la chiesa cristiana la più tremenda di tutte le accuse che siano mai state sulla lingua di un accusatore. Essa è per me la massima di tutte le corruzioni immaginabili; essa ha avuto la volontà dell' estrema corruzione possibile. La chiesa cristiana non lasciò nulla di intatto nel suo pervertimento, essa ha fatto di ogni valore un disvalore, di ogni verità una menzogna, di ogni onestà un' abiezione dell' anima. Computiamo il tempo di quel dies nefastus con cui ebbe inizio questa fatalità - dal primo giorno del cristianesimo! E perché non invece dal suo ultimo giorno? - da oggi? Trasvalutazione di tutti i valori" (pagine 260-261). Qui il riferimento di Nietzsche non è solo ai valori cristiani, ma anche ai valori metafisici che, inaugurati dal platonismo, per duemila anni hanno dominato la cultura dell' Occidente. Lo scetticismo radicale che erode le fondamenta metafisiche e cristiane della cultura occidentale, a parere di Nietzsche, va portato fino in fondo, affinché l' umanità futura sappia creare un "nuovo Dio" che Nietzsche indica in Dioniso, contrapposto non più ad Apollo, come nell' antica Grecia, ma al Crocefisso. Quindi un Dio della natura e della gioia di vivere, nei limiti che la natura concede, contro il Dio della trascendenza e della glorificazione della sofferenza che abita quel "mondo dietro il mondo" che Platone da un lato e il cristianesimo dall' altro hanno inaugurato. Ma "la menzogna bimillenaria", come la chiama Nietzsche, è ormai alla fine. E la sua fine coinciderà con la fine di un tipo d' uomo, quello cresciuto sui valori cristiani, che attende di essere superato da un nuovo tipo d' uomo, capace di liberare tutte le possibili risorse umane finora trattenute sotto il giogo di chi aveva la pretesa di parlare in nome di Dio. Con questo messaggio si è chiusa la vita di Nietzsche e con essa la sua filosofia dell' avvenire con l' indicazione profetica della laicizzazione dell' Occidente che il XX secolo ha registrato come tratto tipico della sua fisionomia.

venerdì 10 luglio 2020

La buona e la cattiva natura


La buona e la cattiva natura. Gli uomini hanno cominciato col trasporre fittiziamente se stessi nella natura: vedevano ovunque se stessi e i loro simili, cioè i loro sentimenti malvagi e bizzarri, come occultati tra nubi, temporali, animali da preda, alberi e piante; inventarono allora la «natura malvagia ». Ed ecco che venne un tempo in cui ancora fittiziamente estromisero se stessi dalla natura, il tempo di Rousseau: si era così sazi l’uno dell’altro che si voleva assolutamente avere un angolo del mondo in cui l’uomo non potesse giungere con il suo tormento: si inventò la « natura buona ».

Friedrich Nietzsche
Da “Aurora”
aforisma 17

giovedì 11 giugno 2020

L'Anticristo -| Friedrich Nietzsche

Il luogo maledetto dove il cristianesimo ha covato le sue uova di basilisco sia raso al suolo e atterrisca tutta la posterità, in quanto luogo nefando della terra. Vi si allevino serpenti velenosi.

mercoledì 10 giugno 2020

Non abbiamo bisogno di andare oltre


Se l’intelletto è di nuovo fuori gioco, allora non sarà accaduto nulla? In un tempo in cui l’arsenale delle macchine di morte, che non può più dominare ogni singolo intelletto, ha ricoperto con lividi sanguinosi il volto di tutto il pianeta e in breve avrà sterminato l’ultimo di tutti i generi di animali che non sono protetti per i combattimenti, dove le immense città ricoperte di filo metallico sembrano oasi sempre più insicure all’interno di un deserto che continua a espandersi sulla superficie della terra, nella quale la sopravvivenza dell’ ultimo albero della foresta vergine è solo ancora questione di pochi anni, dove l’umanità di una volta, l’umanità dei templi, dei culti, delle immagini divine, assassinata dai colpi della “civilizzazione” [Zivilisation], giace negli spasimi della morte e con essa sparisce tutto inarrestabilmente, anche se alcuni affaristi cercano di salvare ancora per un po’ di tempo le mummie nei musei e i libri illustrati in tale tempo un pensatore che sentiva e conosceva questo sentimento fin nel profondo ci dice che l’intelletto, quando sarà di nuovo estinto, avrà abbandonato il mondo come lo aveva trovato all’inizio: è un controsenso così orrendo che si debba dubitare dell’intelletto di questo pensatore, se si fosse così ciechi da non riconoscere in esso la “paurosa” violenza della cattiva volontà, che attenua il significato della profezia smascherante del veggente sui “falsi minuti della storia universale”, mentre egli li presenta come un gioco di prestigio superficiale e confuso che, per così dire, scivola veloce davanti alla realtà. E qui e là questa volontà emerge e manifesta attraverso Nietzsche i suoi terribili trionfi: «Hybris è oggi tutta la nostra posizione rispetto alla natura si dice in Genealogia della morale la nostra violentazione della natura con l’aiuto delle macchine e della tanto spensierata inventiva dei tecnici e degli ingegneri; hybris è la nostra posizione di fronte a Dio [...] hybris è la nostra posizione di fronte a noi; giacché eseguiamo esperimenti su di noi [...] e soddisfatti e curiosi dissertiamo l’anima tagliando nella viva carne».
Non abbiamo bisogno di andare oltre.

Ludwig Klages
Nietzsche e le sue conquiste psicologiche
Mimes, 2006
Pagina 224

giovedì 4 giugno 2020

Ma neppure nascondere le proprie virtù


Ma neppure nascondere le proprie virtù. Amo gli uomini che sono come acque trasparenti e che, per dirla con Pope, «lasciano intravvedere le impurità sul fondo del loro fiume». Ma anche per essi c’è pure una vanità, senza dubbio di rara e sublimata natura: alcuni di loro vogliono che si guardino appunto solo le impurità senza badare alla trasparenza dell’acqua che rende questo possibile. Nientemeno che Gotama Buddha ha ideato la vanità di questi pochi, con la formula: «Fate vedere alla gente i vostri peccati e nascondete le vate virtù ! ». Ma questo non significa dare un buono spettacolo al mondo è un peccato contro il buon gusto.

Friedrich Nietzsche

sabato 30 maggio 2020

Tener gli orecchi chiusi ai lamenti


Tener gli orecchi chiusi ai lamenti. Se ci lasciamo offuscare dai lamenti e dalle sofferenze degli altri mortali e addensiamo le nubi nel nostro stesso cielo, chi è allora che dovrà subire la conseguenza di tale offuscamento?
Proprio questi altri mortali, e in aggiunta a tutti i loro fardelli! Non potremo far nulla né per aiutarli, né per confortarli, se vogliamo essere l’eco dei loro lamenti, anzi, se non facciamo altro che tener sempre gli orecchi tesi per ascoltarli salvo imparare l’arte degli dèi dell’Olimpo, e trarre d’ora innanzi edificazione dall’infelicità degli uomini, anziché renderci infelici per essa. Ma è qualcosa di troppo olimpico per noi, benché, col godimento della tragedia, già si sia fatto una passo avanti verso questo ideale cannibalismo da dèi.

Friedrich Nietzsche
da Aurora
aforisma 144

martedì 26 maggio 2020

I disperanti

I disperanti. Il cristianesimo ha l’istinto del cacciatore verso tutti coloro che possono essere in un modo o nell’altro ridotti alla disperazione: solo una parte eletta dell’umanità ne è capace. Il cristianesimo se ne sta sempre alle loro spalle, è sempre lì a spiarli. Pascal fece il tentativo, se non fosse possibile ridurre ognuno alla disperazione con l’aiuto della conoscenza più tagliente: il tentativo fallì, causando la sua seconda disperazione.

Friedrich Nietzsche
da Aurora
aforisma 64

domenica 24 maggio 2020

Ai più forti

Ai più forti. Voi spiriti più forti e superbi, siete pregati di una sola cosa; non metteteci addosso nuovi pesi, ma prendete su di voi un pò del nostro peso dal momento che siete voi i più forti! Invece fate così volentieri il contrario: giacché volete volare voi, e perciò noi dobbiamo portare anche il vostro peso oltre al nostro; il che significa che noi dobbiamo strisciare!

Friedrich Nietzsche

mercoledì 20 maggio 2020

Non parlo ai deboli


Non parlo ai deboli: costoro vogliono obbedire e per ogni dove si affrettano verso la schiavitù. Al cospetto della natura inesorabile, anche noi ci sentiamo sempre natura inesorabile! Ma io ho trovato la forza dove non la ai cerca, negli uomini semplici, miti e compiacenti, senza la minima inclinazione al dominare viceversa i inclinazione a dominare mi si è presentata spesso come un intimo contrassegno di debolezza: costoro temono la loro anima di schiavi e l’avvolgono in un manto da re (alla fine diventano schiavi dei loro seguaci, della loro fama, e così via). Le nature potenti dominano, questa è una necessità, e non muoveranno un dito. Anche se durante la vita si seppelliscono in un giardino!

Friedrich Nietzsche

sabato 16 maggio 2020

Non giustificarsi


Non giustificarsi. A: Ma perché non ti vuoi giustificare? B: Potrei farlo, in questa e in cento altre cose, ma disprezzo il piacere che è insito nella giustificazione; queste cose, infatti, non sono abbastanza grandi per me, e preferisco tenermi addosso queste macchie che favorire la gioia maligna di quei meschini, così che possano dire:  Lui attribuisce una grande importanza a queste cose!”.  Ciò appunto non è vero! Forse dovrei avere ancor più a cuore me stesso, per sentire il dovere di rettificare opinioni sbagliate sul mio conto, sono troppo indifferente e indolente verso di me, e anche verso ciò che vien prodotto per mezzo mio.

Friedrich Nietzsche

venerdì 15 maggio 2020

Il cristiano compassionevole


Il cristiano compassionevole. L’altra faccia della pietà cristiana per i dolori del prossimo è il profondo sospetto per ogni gioia del prossimo, per la sua gioia in tutto ciò che vuole e può.

Friedrich Nietzsche
da Aurora
aforisma 80

mercoledì 13 maggio 2020

Nietzsche e le sue conquiste psicologiche


Ludwig Klages
Nietzsche e le sue conquiste psicologiche
Mimes, 2006

Nietzsche, assieme a Bachofen e Goethe rappresenta un caposaldo del pensiero di Klages, come si evince facilmente dalle parole di Lòwith: «[...] l’opera di Nietzsche si scinde [per Klages] in due metà: la sua “conquista” positiva viene vista nel fatto che è una filosofia dell”orgiasmo”; il grosso errore nel fatto che essa vuole essere al contempo una filosofia della volontà di potenza».
A partire dall’antagonismo originario sussistente fra spirito e anima, la monografia di Ludwig Klages deI 1926 getta uno sguardo in profondità sull’opera del grande pensatore tedesco, riconducendo la complessità dei temi del suo pensiero a una prospettiva ermeneutica che,
esplorando i rapporti fra filosofia, psicologia, caratterologia ed estetica, ne esalta la capacità di visione globale e simbolica della realtà, dischiudendo così nuovi orizzonti di ricerca nel tempo presente.
Il tempo in cui l’apparato tecnico produttivo è individuato come la sintesi epifenomenica ma visibile del pervasivo Geist, che assorbe in sé, asservendole e potenziandole, tutte le volontà di potenza dei singoli soggetti.
Il tempo quindi in cui persino i credenti “unici stirneriani” o “superuomini nicciani” dirigenti del mondo sono trasformati in semplici grumi di energia che vengono spesi come combustibili dentro i motori di detto apparato e quindi tirano la volata al progetto finale del Geist: distruggere la vita sostituendola con l’artificiale. La via biocentrica verso cui da tempo punta l’indice Klages va semplicemente in direzione opposta.


Ludwig Klages (1872-1956), filosofo e psicologo tedesco è uno degli autori principali del primo Novecento europeo. E stato uno dei fondatori della moderna grafologia. In seguito si occupò di estetica, secondo una prospettiva nietzscheana. Le sue opera fondamentali sono Dell’Eros Cosmogonico (1922) e Lo spirito come antagonista dell’anima (1932).

sabato 9 maggio 2020

Non rinunciare


Non rinunciare. Abdicare al mondo senza conoscerlo come fa una monaca procura una solitudine sterile e forse triste. Ciò non ha nulla in comune con la solitudine della vita contemplativa del pensatore: allorché questi la sceglie, non vuole in alcun modo fare un atto di rinuncia;
il dover persistere nella vita pratica sarebbe invece per lui una rinuncia, una tristezza, una rovina: abdica ad essa poiché la conosce, poiché si conosce. È così che si getta nella sua acqua, che conquista la sua serenità.

Friedrich Niezsche
Da Aurora
aforisma 440

venerdì 8 maggio 2020

Nietzsche il vulcanico


Nietzsche, il vulcanico
«Il segreto per raccogliere dall’esistenza la fecondità più grande e il più grande godimento, si chiama: vivere pericolosamente. Costruite le vostre case sul Vesuvio» scriveva Nietzsche nella Gaia Scienza, nel 1882.
Un’evocazione del sud, focoso e dionisiaco, nelle pagine di un pensatore del nord attratto magneticamente dalla lucente effervescenza solare del mediterraneo e dal suo sottosuolo vulcanico anche in senso filosofico. Da questa traccia, un filosofo venuto dal profondo sud, Antimo Negri, risale in un suo denso volume per rintracciare il senso profondo della nuova scienza secondo Nietzsche. Una scienza gaia e ridente che si beffa delle proposizioni universali, fredde e oggettive, e si apre alla poesia che sola può restituire l’incanto al mondo.
Aleggia nelle pagine di Negri, il riferimento bacchico, dionisiaco a Nietzsche.
D’altronde lo stesso pensatore tedesco aveva già nel 1870 definito Dioniso “lo scopo della esistenza”. La conoscenza tragica, eroica e ludica è in realtà per Nietzsche la vera, sola conoscenza. Ovvero non cerca l’essenza della vita ma i suoi specchi, ustori e deformati.

Antimo Negri
Nietzsche. La scienza sul Vesuvio
Laterza – pagine 196

giovedì 7 maggio 2020

Noi, aerei naviganti dello spirito


Noi, aerei naviganti dello spirito. Tutti questi arditi uccelli che spiccano il volo nella lontananza, nell’estrema lontananza, di sicuro, a un certo momento non potranno più andar oltre e si appollaieranno su un pennone o su un piccolo scoglio e per di più grati di questo miserevole ricetto! Ma a chi sarebbe lecito trarne la conseguenza che non c’è più dinanzi a loro nessuna immensa, libera via, che sono volati tanto lontano quanto è possibile volare? Tutti i nostri grandi maestri e precursori hanno finito coll’arrestarsi; e non è il gesto più nobile e il più leggiadro atteggiamento, quello con cui la stanchezza si arresta: sarà così anche per me e per te! Ma che importa a me e a te! Altri uccelli voleranno oltre! Questo nostro sapere e questa nostra fiducia spiccano il volo con essi e si librano in alto, salgono a picco sul nostro capo e oltre la sua impotenza, lassù in alto, e di là guardano nella lontananza, vedono stormi d’uccelli molto più possenti di quanto siamo noi, in quali agogneranno quel che agognammo noi, in quella direzione dove tutto è ancora mare, mare, mare! E dove dunque vogliamo arrivare? Al dì là del mare? Dove ci trascina questa possente avidità, che è più forte di qualsiasi altro desiderio? Perchè proprio in quella direzione, laggiù dove sono fino ad oggi tramontati tutti i soli dell’umanità? Un giorno si dirà forse di noi che, volgendo la prua a occidente, anche noi speravamo di raggiungere un’india, ma che fu il nostro destino naufragare nell’infinito? Oppure, fratelli miei? Oppure?

Friedrich Nietzsche

mercoledì 6 maggio 2020

Dignità e ignoranza alleate


Dignità e ignoranza alleate. Quando comprendiamo, diventiamo gentili, felici, ingegnosi, e tutte le volte che si è abbastanza imparato e ci si è fatti occhi e orecchie, la nostra anima mostra maggior duttilità e grazia. Ma comprendiamo tanto poco e siamo miseramente istruiti, e capita raramente di stringere una cosa e renderci così amabili a noi stessi; attraversiamo invece, rigidi e insensibili, la città, la natura, la storia e ci vantiamo un poco di questo comportamento e questa freddezza, come se fosse una conseguenza della superiorità. Sì, la nostra ignoranza e la nostra poca sete di sapere sono bravissime nel saper dare alloro incedere il passo maestoso della dignità, del carattere.

Friedrich Nietzsche
da Aurora
aforisma 565


martedì 5 maggio 2020

Ultimo silenzio


Ultimo silenzio. A taluni accade come ai disseppellitori di tesori: casualmente scoprono le cose che se ne stanno celate in un’altra anima, e il sapere di cui sono entrati in possesso è spesso troppo pesante da portare. In certe circostanze si può conoscere bene e scoprire interiormente vivi e morti, a un punto tale che è increscioso parlarne ad altri: si teme, ad ogni parola, di essere indiscreti. Potrei immaginarmi un improvviso ammutolirsi dello storico più sapiente.

Friedrich Nietzsche

lunedì 4 maggio 2020

Sapete voi quel che volete?


Sapete voi quel che volete? Non vi ha mai torturati l’angoscia di non poter affatto riuscire a riconoscere ciò che è vero? L’angosciosa percezione che i vostri sensi sono troppo rudimentali e anche la vostra sottigliezza è ancor troppo grossolana? E se vi foste accorti che genere di volontà dettava legge dietro il vostro vedere? Per esempio, che ieri volevate vedere più di un altro, che oggi volete vedere diversamente da un altro, o che fin da principio vi struggete di trovare una concordanza, oppure il contrario di ciò che fino ad oggi si presumeva di trovare! Oh, i vergognosi appetiti! Quanto spesso vi mettete a spiare quel che infonde forza, e spesso quel che riacquieta giacché proprio voi siete stanchi. Sempre pieni di segrete predeterminazioni su come deve essere costituita la verità, perché voi, precisamente voi, possiate accettarla! O forse, oggi che siete gelati e asciutti come un chiaro mattino d’inverno e avete sgombro il cuore, pensate di avete una vista migliore? A far giustizia di una realtà pensata e questo appunto è vedere non si addice calore ed entusiasmo? Quasi vi fosse possibile in genere trattare con realtà pensate diversamente da come si tratta con esseri umani! In questo rapporto v’è la stessa moralità, la stessa onorabilità, gli stessi secondi fini, la stessa melensaggine, la stessa pusillanimità, tutto il vostro amabile e detestabile io! I vostri infiacchimenti fisici daranno alle cose colori fiacchi, le vostre febbri le trasformeranno in mostri. La vostra mattina non rischiara le cose diversamente dalla vostra sera? Non temete di ritrovare nell’antro di ogni conoscenza il vostro stesso fantasma, come una fantasmagorica trama con cui la verità si è mascherata ai vostri occhi? Non è una spaventosa commedia quella in cui, con tanta sconsideratezza, volete recitare anche voi?
Friedrich Nietzsche
Da Aurora


domenica 3 maggio 2020

I patetici e gli ingenui


I patetici e gli ingenui. Può essere un’abitudine alquanto spregevole non tralasciare nessuna occasione in cui possiamo mostrarci patetici: per amore di quel godimento che ci viene dall’immaginare lo spettatore battersi il petto e sentirsi miserabile e meschino. Di conseguenza, può anche essere un indice di nobiltà interiore farsi beffe delle situazioni patetiche e comportarsi in esse indegnamente. L’antica aristocrazia guerriera di Francia possedeva questa specie di nobiltà e di finezza.

Friedrich Nietzsche
Da Aurora
aforisma 386

sabato 2 maggio 2020

Tafani morali


Tafani morali. Quei moralisti cui manca l’amore per la conoscenza e che conoscono solo il piacere di far del male hanno lo spirito e la noia dei provinciali: il loro godimento, tanto crudele quanto miserabile, è tener lo sguardo sulle dita del vicino e, senza che se ne accorga, dispone uno spillo in modo che egli si punga. C’è in costoro il residuo delle brutte abitudini dei ragazzi, che non possono divertirsi senza un po’ di caccia e di maltrattamenti a danno degli esseri vivi e morti.

Friedrich Nietzsche

Da Aurora
aforisma 357


venerdì 1 maggio 2020

Gli apologeti del lavoro


Gli apologeti del lavoro. Nell’esaltazione del «lavoro», negli instancabili discorsi sulla «benedizione del lavoro» vedo la stessa riposta intenzione che si nasconde nella lode delle azioni impersonali di comune utilità: la paura, cioè, di ogni realtà individuale. In fondo, alla vista del lavoro e con ciò si intende sempre quella faticosa operosità che dura dal mattino alla sera si sente oggi che il lavoro come tale costituisce la migliore polizia e tiene ciascuno a freno e riesce a impedire validamente il potenziarsi della ragione, della cupidità, del desiderio d’indipendenza. Esso logora straordinariamente una gran quantità d’energia nervosa e la sottrae al riflettere, allo scervellarsi, al sognare, al preoccuparsi, all’amare, all’odiare; esso si pone sempre sott’occhio un piccolo obiettivo e procura lievi e regolari appagamenti. Così una società in cui di continuo si lavora duramente, avrà maggior sicurezza: e si adora oggi la sicurezza come la divinità somma. E ora! Orribile! Proprio il «lavoratore» s’è fatto pericoloso! Gli «individui pericolosi» brulicano! E dietro ad essi, il pericolo dei pericoli l’individuum!

Friedrich Nietzsche
da Aurora
aforisma 173

Una cosa è necessaria


Una cosa è necessaria: l’isolamento degli uomini dotati, la loro indipendenza quanto al cibo, la loro astensione dalla fama e dalle cariche, il disprezzo per tutti gli uomini e per gli eventi risultanti da grandi masse di uomini. La rivolta di una grande città e il giornale di una grande città sono integralmente « commedia », e mancanza di autenticità ».

Friedrich Nietzsche

giovedì 30 aprile 2020

La prima natura

La prima natura. Dato il modo in cui oggi veniamo educati, noi riceviamo in primo luogo una seconda natura; e quando il mondo ci dice maturi, maggiori d’età, utilizzabili, noi la possediamo. Pochi sono abbastanza serpenti da staccarsi un bel giorno questa pelle di dosso, allorquando, sotto il suo guscio,- è maturata la loro prima natura. Nei più, avvizzisce il seme di essa.

Friedrich Nietzsche

mercoledì 29 aprile 2020

I sedentari e i liberi

I sedentari e i liberi. Soltanto nel mondo degli inferi ci viene mostrato qualcosa del cupo sfondo di tutta quella beatitudine d’avventurieri, che circonda Odisseo e i suoi compagni come un eterna chiarità di mari, — di quello sfondo che poi non si dimentica più: la madre di Odisseo era morta di pena e di struggimento per il figlio suo! C’è chi è incalzato da un luogo all’altro, chi invece, mite e sedentario, ha il cuore a pezzi per questo: così è sempre! L’angoscia spezza il cuore a coloro cui tocca consumare l’esperienza dell’abbandono in cui è stata lasciata la loro idea, la loro fede, da colui che amavano maggiormente, — questo appartiene alla tragedia, di cui gli spiriti liberi sono protagonisti, e di cui talora sono anche coscienti! Debbono, anche per una sola volta, scendere tra i morti, come Odisseo, per alleviare la loro afflizione e acquietare la loro tenerezza.

Friedrich Nietzsche
da Aurora
aforisma 562


Morale degli animali da sacrificio


Morale degli animali da sacrificio. «Abbandonarsi con entusiasmo», «immolarsi nel sacrificio» — sono queste le parole d’ordine della vostra morale, e lo credo bene che, come dite voi, «agite così in buona fede», c’è però il fatto che io vi conosco meglio di quanto voi non conosciate voi stessi quando la vostra «buona fede» riesce ad andare a braccetto con una siffatta morale. Dalla sommità di questa, gettate lo sguardo in basso su quell’altra arida morale che esige dominio di sé, rigore, obbedienza, perfino egoistica la dite voi. Ed è proprio così, voi siete sinceri con voi stessi, se non viva a genio, — essa non può andarvi a genio! Perché mentre vi abbandonate entusiasticamente e fate di voi stessi un olocausto, assaporate l’ebbrezza di sapere che siete ormai una cosa sola con il potente essere, sia esso un Dio o un uomo, al quale vi consacrate: vi crogiolate nel sentimento della sua potenza, che appunto di nuovo testimoniata da una vittima. In verità non sembrate tanto immolarvi, quanto, invece, trasmutarvi, col pensiero, in divinità e, come tali, godere di voi stessi. Tenendo conto di questo godimento, come vi sembra gracile e povera quella morale «egoistica» dell’obbedienza, del dovere, della razionalità! Essa non vi sta bene perché qui realmente ci si deve sacrificare e donare, senta che il sacrificante s’illuda di trasformarsi in un Dio, come vi illudete voi. Insomma, voi volete l’ebbrezza e la dismisura, e quella morale che voi disprezzate leva il dito contro l’ebbrezza e la dismisura: Io credo bene che vi resti scomoda!

Friedrich Nietzsche
da Aurora
aforisma 215

martedì 28 aprile 2020

Sono necessari piccoli atti anticonformisti


Sono necessari piccoli atti anticonformisti. Agire, anche una sola volta, nelle faccende del costume, contro il proprio giudizio migliore; sottomettersi, a questo riguardo, nella prassi, e riservarsi la libertà spirituale; agire come tutti e con ciò rendere a tutti una cortesia e un beneficio per così dire a compenso dei non conformismo delle nostre opinioni: tutto questo, presso molti uomini abbastanza liberi d’idee, è considerato non soltanto non pericoloso, ma anche «onesto», «umano», «tollerante», «non pedantesco», o comunque suonino le belle parole con le quali si canta la ninna-nanna alla coscienza intellettuale perché si addormenti. E così c’è chi, pur essendo ateo, fa battezzare cristianamente il suo bambino, e chi va sotto le armi, come tutti gli altri, per quanto maledica grandemente l’odio tra i popoli, chi corre in chiesa con una femminuccia perchè lei ha una parentela di gente devota, e fa la sua promessa davanti a un prete, senza vergognarsi. «Non è essenziale, se anche uno di noi fa quello che tutti fanno e hanno sempre fatto» così si esprime il pregiudizio grossolano!I Il grossolano errore! Poiché non c’è niente di più essenziale del fatto   che ancora una volta sia riaffermato, attraverso l’azione di un uomo riconosciuto come razionale, quanto è già potente, tradizionale, e irrazionalmente riconosciuto: - in tal modo esso riceve, agli occhi di tutti coloro che hanno notizia di questo fatto, la sanzione della ragione stessa. Tutto il rispetto per le vostre opinioni! Però piccoli atti anticonformisti hanno più valore!

Friedrich Nietzsche
da Aurora
aforisma 149

lunedì 27 aprile 2020

Contro la cattiva dieta.


Contro la cattiva dieta. Puah! Questi pasti che consumano oggi gli uomini nei ristoranti, come in qualsiasi altro luogo, dove viva la classe agiata della società! Anche quando molto ragguardevoli dotti tengono i loro consessi, è lo stesso costume che imbandisce la loro tavola come quella del banchiere: secondo cioè la regola del «troppo» e del «vario», da cui deriva la conseguenza che i cibi vengono approntati in vista dell’effetto e non del risultato e occorre l’aiuto di bevande eccitanti per smaltire la pesantezza nello stomaco e nel cervello. Puah! Quale dissolutezza e ipersensibilità dovranno essere le generali conseguenze! Puah! Quali sogni finiranno per avere! Puah! Quali arti e quali libri costituiranno il dessert di simili pasti! E agiscano pure a loro talento: nel loro agire regnerà sempre il pepe e la contraddizione, oppure la stanchezza del mondo! (La classe abbiente in Inghilterra ha bisogno del suo cristianesimo per poter sopportare i suoi disturbi digestivi e i suoi dolori di testa). In conclusione, per dire quel che c’è di divertente nella faccenda e non soltanto quel che v’è in essa di ripugnante, questi uomini non sono per nulla dei golosi; il nostro secolo e il suo genere di faccende è più potente sulle loro membra che sul loro ventre: a che cosa mirano dunque questi conviti? A essere rappresentativi! Ma di che cosa, per tutti i santi? Della classe? No, del denaro: non si ha più classe! Si è «individuo»! Il denaro invece è potenza, fama, dignità, supremazia, influenza, il denaro costituisce oggi per un uomo, secondo che ne abbia, il grande o il piccolo pregiudizio morale. Nessuno vuole tenerselo sotto il moggio, nessuno lo vorrebbe mettere sulla tavola; di conseguenza il denaro deve avere un elemento rappresentativo che si possa mettere sulla tavola: si vedano i nostri pasti.

Friedrich Nietzsche
da Aurora
aforisma 203


domenica 26 aprile 2020

Opere e fede

Opere e fede. I maestri protestanti continuano sempre a diffondere quell’errore fondamentale che soltanto la fede sia la cosa importante e che alla fede debbono necessariamente conseguire le opere. Questo non è assolutamente vero, ma possiede un tale accento di seduzione che ha. traviato ben altre intelligenze che quella di Lutero (quelle cioè di Socrate e Platone): nonostante che in contrario deponga il modo in cui appaiono le nostre esperienze di tutti i giorni. Il sapere o la fede maggiormente sicuri non possono dare la forza per agire e neppure la scioltezza per l’azione, non possono sostituire l’esercizio di quel sottile. multiplo meccanismo che deve essere precedentemente messo in movimento, affinché una qualsiasi cosa possa da una rappresentazione trasformarsi in azione. Soprattutto, e prima di tutto, le opere! Cioè esercizio, esercizio, esercizio!
La « fede » a ciò necessaria verrà al momento giusto, —. siatene certi!

Friedrich Nietzsche
Da “Aurora”
aforisma 22

sabato 25 aprile 2020

Chi è mai il prossimo?


Chi è mai il prossimo? Che cosa mai comprendiamo, del nostro prossimo, per quanto riguarda le sue delimitazioni, voglio dire ciò con cui esso quasi si delinea e s’imprime su di noi e in noi? Di esso non comprendiamo se non le trasformazioni che ad opera sua si producono in noi, quel che sappiamo di lui assomiglia ad uno spazio cui è stata data una forma vuota. Gli attribuiamo le sensazioni che i suoi atti evocano in noi e gli conferiamo così una falsa positività inversa. Lo plasmiamo secondo la conoscenza che abbiamo di noi, facendone un satellite del nostro stesso sistema: e se esso ci fa luce o si ottenebra, e noi siamo la causa ultima di questi due fatti, siamo pur sempre indotti a credere il contrario! un mondo di fantasmi è quello in cui viviamo, un mondo stravolto, capovolto, vuoto e tuttavia sognato come pieno e diritto!

Friedrich Nietzsche

venerdì 24 aprile 2020

Alzatevi e andate

Alzatevi e andate, amici, mi avete lasciato parlare anche troppo a lungo. Il vento diventa più freddo e pungente, l’erba anche — questa placida cima trema, e si va a sera. Andate e, ve ne prego, quando sarete a valle, commettete subito una piccola follia, affinché tutto il mondo veda che cosa avete imparato da me, quassù.

Friedrich Nietzsche

giovedì 23 aprile 2020

Offuscamento del cielo

Offuscamento del cielo. Sapete voi la vendetta degli uomini schivi, che si comportano nella società come se avessero rubato le proprie membra? La vendetta delle anime umili, supinamente cristiane, che si limitano a passare ovunque sulla terra strisciando via furtive? La vendetta di coloro che fanno sempre presto a giudicare e sempre presto ad essere smentiti? La vendetta degli ubriaconi di tutte le risme, per i quali il mattino è la parte più lugubre della giornata? E quella degli esseri infermicci di ogni specie, dei malazzati e dei depressi che non hanno più il coraggio di guarire? Il numero di questi piccoli esseri bramosi di vendetta, e quello altresì dei loro piccoli atti di vendetta, è enorme; in tutta l’aria risuona continuamente il sibilo delle trecce e freccine scoccate dalla loro malvagità, casi che il sole e il cielo della vita ne risultano offuscati — non soltanto per essi, ma ancor più per noi, per gli altri, per chi resta: il peggio è che fin troppo spesso ci scalfiscono l’epidermide e il cuore. Non neghiamo forse qualche volta sole e cielo, per il semplice fatto che da tanto tempo non li abbiamo veduti? Dunque: solitudine! Solitudine anche per questa ragione!

Friedrich Nietzsche
da Aurora
aforisma 323

mercoledì 22 aprile 2020

I calunniatori dell’allegria


I calunniatori dell’allegria. Uomini profondamente piagati dalla vita hanno gettato il sospetto su ogni allegria come se fosse sempre ingenua e puerile e tradisse un’irrazionalità, alla vista della quale non si potrebbe provare altro che pietà e commozione, come quando un fanciullo prossimo a morire accarezza ancora sul suo letto i propri giocattoli. Tali uomini vedono tombe nascoste e dissimulate in mezzo alle rose; divertimenti, baraonda, musica allegra appaiono loro come la risoluta autosuggestione del malato grave, che vuole sorseggiare ancora una volta, per un attimo, l’ebbrezza della vita. Ma questo giudizio sulla allegria nient’altro è che il suo riverberarsi sul cupo fondo della stanchezza e della malattia: è esso stesso qualcosa di commovente, d’irrazionale, che spinge alla compassione, anzi addirittura qualcosa d’ingenuo e puerile, ma proveniente da quella seconda infanzia che segue la vecchiaia e precorre la morte.

Friedrich Nietzsche
da Aurora
aforisma 329

martedì 21 aprile 2020

La vendetta cristiana su Roma


La vendetta cristiana su Roma.
Forse non c’è nulla che stanchi tanto, quanto lo spettacolo di un continuo vincitore, per duecento anni si era visto Roma assoggettate a sé un popolo dopo l’altro, il circolo era compiuto, tutto l’avvenire sembrava alla fine, tutte le cose erano organizzate per una eterna condizione. Sì, se l’impero edificava, edificava con l’intenzione dell’« aere perennius »; e noi, noi che conosciamo soltanto la « malinconia delle rovine », possiamo a stento comprendere quella malinconia, di tutt’altra specie, delle costruzioni eterne, dalla quale si doveva cercare di salvarsi come si poteva: per esempio, con la frivolezza di Orazio. Altri cercavano differenti mezzi di conforto contro la stanchezza confinante con la disperazione, contro la coscienza mortifera che ormai tutti i movimenti del pensiero e del cuore fossero senza speranza, che in ogni luogo si fosse piantato il grande ragno, che esso avrebbe implacabilmente bevuto tutto il sangue, dovunque ancora scaturisse. Questo odio vecchio di secoli, senza parole, nutrito dagli stanchi spettatori verso Roma, almeno per tutto il tempo in cui durò il suo dominio, si sgravò, alla fine, nel cristianesimo, coinvolgendo in un solo sentimento Roma, il « mondo » e il « peccato »; ci si vendicò di Roma, ritenendo prossima l’improvvisa fine del mondo; ci si vendicò di Roma, ponendo di nuovo dinanzi a sé un avvenire - Roma aveva saputo trasformare tutto nella sua preistoria e nel suo presente e un avvenire, in confronto al quale Roma non appariva più come il fatto più importante; ci si vendicava di essa, sognando il giudizio ultimo, e l’ebreo crocifisso, come simbolo di salvezza, costituiva l’estrema irrisione verso gli splendidi pretori romani della provincia; infatti essi ora apparivano come i simboli della sventura e del « mondo » maturo per la fine.

Friedrich Nietzsche

Da “Aurora”
aforisma 71


21 aprile a Venezia


21 aprile a Venezia
Nietzsche aspira a raggiungere Peter Gast. Ma Venezia ha le sue nebbie invernali che egli teme, e non osa, prima della metà di aprile, lasciare Nizza. Più va avanti con l’età, più subisce la tirannia della luce: un giorno di privazione l’intristisce, otto giorni lo abbattono.
Per fortuna, arrivano le tiepide ore di fine aprile; il 21 Nietzsche è a Venezia. Peter Gast lo installa in una stanza la cui finestra dà sul Canal Grande, non lontano da Rialto, ed eccolo felice infine nella sua cara città ritrovata. Erano quattro anni che non la rivedeva; prova una gioia infantile. Erra in quel dedalo che animano le sorprese del sole e dell’acqua, i muschi ed i fiori germogliati tra le pietre. Cammina nelle piccole strade come a Sils in montagna, dalle quattro alle cinque ore al giorno. « Cento profonde solitudini compongono insieme Venezia », scrive. « Da qui la sua magia. Un simbolo per gli uomini dell’avvenire ». Non parla più del superuomo: a Venezia questo neologismo enfatico farebbe sorridere.

Da
Daniel Halévy
Vita Eroica di Nietzsche

domenica 19 aprile 2020

La nascita della tragedia

Nel 1871 Friedrich Nietzsche pubblicò un’opera, La nascita della tragedia, in cui compariva per la prima volta il tentativo di chiarire un contrasto presente, secondo l’autore, nello spirito ellenico: quello fra la componente “apollinea” e la componente “dionisiaca”. La componente “apollinea” era intesa come la tendenza alla misura, alla compostezza, all’equilibrio, che si espresse soprattutto nelle arti figurative del periodo classico, e che egli considerò attributo fondamentale di Apollo come divinità solare. 
Dioniso, invece, il cui culto si esprimeva nelle orge e nei misteri, era l’espressione dell’aspetto opposto alla serenità apollinea. Nell’invasamento dionisiaco, Nietzsche scorgeva il manifestarsi dell’inconscio. La tragedia rappresentava per lui la sintesi di queste due opposte tendenze dello spirito greco: la componente dionisiaca era rappresentata dalle vicende dei protagonisti, luttuose, sanguinose, dominate da oscure pulsioni irrazionali, che però, a poco a poco, ritrovavano armonia attraverso il complesso evolversi delle peripezie, giungendo ad una soluzione equilibratrice.

lunedì 6 aprile 2020

Sabato 6 aprile 1888 arriva a Torino


Sabato 6 aprile 1888, arriva a Torino, affranto di fatica: « Non sono più in grado di viaggiare solo», scrive a Peter Gast. « Ciò mi agita troppo, tutto mi impressiona stupidamente »,

Torino è certamente una bella città dell’antica Europa aristocratica e reale; nessuno tuttavia si è reso mai conto di vedere in essa la ottava meraviglia del mondo. Ora, questo è ciò che farà Nietzsche. Questo semi-cieco, attraverso le lenti nere dei suoi spessi occhiali, scorge le linee del nobile disegno torinese, e le trova sublimi. Lettera a Peter Gast:
« Torino, caro amico, è una scoperta capitale. Ve ne parlo con il secondo fine che voi potrete forse approfittarne, Il mio umore è buono, lavoro dal mattino alla sera un piccolo pamphlet sulla musica occupa le mie dita digerisco come un semi-dio, dormo malgrado il baccano notturno delle vetture; tutti sintomi di un eminente adattamento di Nietzsche a Torino ».
Questi benefici, Nietzsche li attribuisce ai clima di Torino. Non vede (o dissimula) la realtà, che è ben altra. La scossa del viaggio, lo shock dell’arrivo, l’hanno scosso: da qualche parte, nel suo cervello, nelle immensità del suo universo interiore, qualche equilibrio si rotto, ed il fuoco, da molto tempo minaccioso e strisciante, è infine scaturito. Non è ancora tutto incendiato, ma tutto è lambito dalla fiamma, e la follia ha per primo sintomo, ben noto agli psichiatri, un sentimento di vittoria, un’acclamazione trionfale. Questa vittoria, questo trionfo della follia, Nietzsche li aveva un giorno, ce ne ricordiamo, tragicamente chiamati: « Inviatemi, la follia, abitanti dei cieli », aveva gridato; « la follia perché finalmente io creda in me! » La follia ar­riva, Nietzsche crederà in lui.

da
Daniel Halévy
Vita eroica di Nietzsche

giovedì 2 aprile 2020

Nietzsche a Venezia


Nietzsche a Venezia

« Seguitemi a Venezia , scrive; «so dove alloggiarvi. Io sarò là, mi prendo ogni responsabilità *. Ogni responsabilità: dolce parola per l’afflitto. Nietzsche ascolta, si calma, obbedisce. Il 13 marzo, Peter Gast lo installa nella città promessa.
Nietzsche non amava ancora l’Italia. La smagliante Sorrento non l’aveva estasiato, la plebe napoletana lo aveva disgustato. Venezia lo conquistò, fin dal principio. Amò tutto ciò che vi amava Peter Gast. Non parliamo dei palazzi, delle chiese, delle sculture o delle pitture: Nietzsche non ne parlerà mai. Leggendo le sue opere e le sue lettere si è portati a pensare che non sia mai entrato in quei luoghi, che non si sia mai fermato davanti a nessuno di quegli oggetti. Viveva di un certo contatto, di una certa intuizione della terra, dell’atmosfera, della luce. Ora, Venezia lo riempì di gioia. Lottava da anni contro i prestigi del romanticismo germanico:
Venezia piacente, sorprendente e gaia come un racconto da Mille e una notte, bella come un canto d’Omero, ricompensò la sua lunga ricerca. Peter Gast aveva visto giusto: quello che ci voleva per Nietzsche, era Venezia. Come una pianta assetata si riprende dopo una grande pioggia, egli si riprese; di colpo rianimato, disteso, comincia a sorridere di se stesso al ricordo delle angosce che ha appena passato.

Da
Daniel Haléy
Vita eroica di Nietzsche

martedì 31 marzo 2020

Vita eroica di Nietzsche




Daniel Halévy
Vita eroica di Nietzsche
Il Borghese, 1974, Roma

Dalla quarta di copertina.

Biografia, storia filosofica, ritratto di un artista nel quadro del suo tempo, nei suoi rapporti con la cultura, l’amore, la follia, la morte, questo libro è un’analisi totale del fenomeno Nietzsche, frutto di cinquantanni di studio. Halévy, infatti, nel 1892, è uno dei primi lettori di Nietzsche e il suo primo traduttore. Nel 1909, pubblica Una vita di Friedrich Nietzsche, che rimane un classico, cui si rifaranno tutti i biografi e gli studiosi successivi, e che sarà il germe di questa nuova, grande opera.

Quale il filo conduttore che segue Halévy? Nietzsche è un autore difficile », egli scrive, « mascherato più che rivelato da queste o quelle formule clamorose che fecero sussultare un immenso uditorio, pronunciate quasi tutte negli ultimi mesi di vita, tormentati dal delirio ». Ora, si tratta dì scoprire, al di là delle formule, l’uomo vivo e il pensatore, e di rivelare il significato di « una delle avventure più singolari ed eroiche che siano mai state tentate nell’universo dello spirito ». Perciò Halévy combatte i luoghi comuni, del Nietzsche pangermanista, nichilista e figlio dell’Ottocento, facendo rivivere in queste pagine il filosofo-poeta che, per una miracolosa coincidenza, si trovò a varcare le Alpi, in carrozza, a fianco di un vecchio che si chiamava Giuseppe Mazzini, e che gli lasciò, come viatico, una massima di Goethe: « Per il bello, per il bene, per il vero, vivere risolutamente ».

giovedì 26 marzo 2020

Friedrich Nietzsche - La volontà di potenza



recensione: 
Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza
Bompiani, Milano 1992, pagg. 713, lire 40000.

Nel marzo del 1887, Friedrich Nietzsche trascorreva le ultime settimane del suo soggiorno invernale a Nizza. Di lì a poco sarebbe partito per l’Engadina, fuggendo la calura che avrebbe fiaccato ancor di più il suo corpo indebolito dalla malattia e la luce accecante della Riviera, troppo violenta per i suoi occhi gravemente sofferenti. Durante quei giorni di marzo, il 17, appuntò un piano per un’opera divisa in quattro libri, che avrebbe dovuto avere per titolo La volontà di potenza. Tentativo di una tra svalutazione di tutti i valori.
Non era il primo appunto in cui veniva prefigurata un’opera che portasse quel nome. La prima comparsa risale al 1885. La prima edizione di Al di là del Bene e del Male, del luglio 1886. riporta di copertina l’annuncio della prossima pubblicazione de La volontà di potenza. Trasvalutazione di tutti i valori, e ne La genealogia della morale, dell’anno successivo, il rinvio all’opera futura come luogo di indagine di questioni decisive è inserito direttamente nel testo. In queste note, in altre più ampie e in diversi brani dell’epistolario. Nietzsche proponeva ad immaginare la fisionomia di un’opera a cui avrebbe affidato l’estensione della portata teoretica della sua filosofia ed in cui avrebbe provato a compiere il passaggio dalla critica distruttrice della tra­dizione filosofica d’occidente e dall’analisi dell’im­mensa crisi che travagliava l’epoca ad una fase nuova, realizzabile grazie appunto ad una trasvalutazione di tutti i valori.
Quell’opera non vide però mai la luce; ne rimangono 372 aforismi numerati, sulla destinazione dei quali si sono a lungo interrogati gli esegeti. La stessa operazione fondamentale che avrebbe dovuto costruire un ponte al di là del nichilismo s’immerse nell’incompiuto e rimase un compito lasciato in eredità al pensiero del nostro secolo. Si trattava dell’esigenza non di un semplice ribaltamento delle tavole dei valori vigenti nel loro rovescio speculare, ma dell’. inversione di valore » del valore stesso, ossia di un mutamento qualitativo nel modo di concepire e praticare il valore. Le tavole non andavano riscritte, ma infrante e rifondata.
Nietzsche non avrebbe sicuramente immaginalo che, dopo la sua morte, lo schema del 17 marzo 1887 sarebbe diventato il piano su cui la sorella Elisabeth, e il discepolo Peter Gast (pseudonimo di Heinnrich Kòselitz), selezionando tematicamente una vastissima serie di appunti risalenti ad un periodo compreso tra il 1883 e il 1888, avrebbero composto 1067 frammenti in un volume pubblicato nel 1906 come La volontà di potenza. Non era comunque la prima edizione postuma di testi nietzschiani, dal momento che nel 1901 sotto lo stesso titolo era uscita una raccolta di 483 frammenti curata da Gast insieme ad Ernst e August Horneffer, due collaboratori del Nietzsche-Archiv fondato da Elisabeth Fòrster-Nietzsche per provvedere al grande patrimonio di scritti lasciati dal fratello, ormai preda di una demenza irreversibile. A quelle edizioni ne seguiranno altre, ognuna con un numero differente di brani raccolti, ma quella di Gast ed Elisabeth rimase per molti versi la più importante e fu scelta per l’edizione italiana, . tradotta da Angelo Treves e pubblicata nel 1927  casa editrice Monanni di Milano.
Dopo tanti anni di assenza dal panorama editoriale italiano, quella versione de La volontà di potenza è stata ripubblicata da Bompiani dopo una revisione della traduzione ad opera di Piero Kobau e con l’aggiunta di una postfazione di un centinaio di pagine sulla Storia della Volontà di potenza scritta da Maurizio Ferraris, già allievo di Gianni Vattimo e ora professore di Estetica all’Università di Trieste.
Ferraris, già autore tra l’altro di un volume su Nietzsche e la filosofia del Novecento, prova nel saggio a districarsi nell’intricatissimo nugolo di questioni e polemiche sollevate dalla pubblicazione dell’opera postuma. Il nodo polemico attorno al quale ruotano gran parte delle questioni ermeneutiche intorno al testo è stato intrecciato dal destino che ebbe l’opera, spesso considerata La principale responsabile del travisamento del pensiero nietzscheano in senso nazista e del suo sfruttamento al fine dì conferire una dignità filosofica alla politica culturale del Terzo Reich.
La prima questione che si pone è se La volontà di potenza sia considerabile come un’opera di Nietzsche, o fino a che punto la si possa giudicare tale. Tra i numerosissimi esegeti e le loro svariate lesi emergono, per il ruolo fondamentale giocato nella storia delle edizioni nietzscheane, Giorgio Colli e Mazzino Montinari, i quali hanno sottolineato il carattere di assoluta arbitrarietà dell’operazione editoriale che portò il Nietzsche-Archiv a pubblicare il volume sotto il nome del filosofo. Colli ha fatto notare come Nietzsche, per comporre le sue opere, seguisse un metodo di rigida selezione e rielaborazione di una massa incandescente di materiali accumulati col tempo, in cui attraverso un « momento artistico » i brani appuntati divenivano aforismi e andavano a comporre l’opera secondo una grandiosa costruzione « architettonica». Ne La volontà di potenza non vi è nulla di tutto questo: invece della « numerazio­ne architettonica » degli aforismi, vi è solo una compilazione dì una serie di abbozzi tematici di brani preparatori, di appunti indicativi sulla direzione da percorrere, a volte in contraddizione gli uni con gli altri, citazioni da Letture; insomma, un materiale ancora informe, a parte i 372 aforismi numerati. Partendo da questo dato di tatto, l’edizione critica che Colli e Montinari intrapresero all’inizio degli anni Sessanta per le edizioni Adelphi non prese in considerazione la discussa opera, ma restituì per la prima volta nella sua integralità, con rigore filologico e adeguato commento l’immensa messe dei « frammenti postumi » nietzscheani, ordinati cronologicamente.
Altri fattori si aggiungono in sede di valutazione della legittimità della creazione e della pubblicazione de La volontà di potenza: le falsificazioni, le omissioni, scelte ingiustificabili come il frazionamento di un lungo brano in più pseudoaforismi; misfatti già denunciati all’epoca della prima edizione. L’insieme dei problemi ermeneutici e filologici è comunque assai più complesso. Qui l’interpretazione di Nietzsche appare un vero e proprio campo minato dove ad ogni passo il piede corre il rischio di cadere in fallo, anche perché gli esegeti hanno aggiunto valutazioni opposte sui singoli indizi alla difficoltà di seguire i percorsi non univoci del pensiero nietzscheano.
Questi problemi fanno da sfondo alla polemica accesasi attorno alla recente riedizione del volume e alle prospettive interpretative del suo curatore. Colli imputava al concetto di volontà di potenza » di essere un’espressione solamente essoterica, la cui elaborazione forniva una possibilità divulgativa al pensiero nietzscheano, e procedeva a separarla dalla nozione di « trasvalutazione di tutti i valori », per mostrare poi come questa venisse definitivamente accantonata dal filosofo attraverso una serie di passi che culminano nella cancellazione della formula dal frontespizio de L’Anticristo. Ferraris sostiene invece che gli ultimi anni di Nietzsche furono in gran parte dedicati alla meditazione del concetto di « volontà di potenza » indissolubilmente legato alla» trasvalutazione di tutti i valori ». « Sotto questo punto di vista», scrive, « l’invito heideggeriano a leggere le opere di Nietzsche come La Metafisica di Aristotele acquisisce una supplementare validità; Andronico, il ritrovatore delle opere esoteriche e, con lo stesso gesto, l’occultatore delle essoteriche, non pubblicò in ordine cronologico, matematico, creando la Metafisica senza che mai Aristotele avesse pensato a quel titolo e concetto, nè mai abbozzato un piano di organizzazione per un materiale che infatti è incoerente e contraddittorio, di epoche differenti ecc. — proprio come il W[fille]z[ur]M[acht], di cui peraltro Nietzsche ci ha lasciato così tanti piani e abbozzi, e così tante testimonianze anche tra gli editi per quanto riguarda la valenza concettuale». Insomma, nessuno si sognerebbe di demolire La volontà di potenza se non per la convinzione che proprio questa opera, e non le altre, avesse « lavorato per il Terzo Reich»; mentre in essa Ferraris non riconosce possibilità maggiori di strumentalizzazione, o maggiori elementi di affinità col nazionalsocialismo, rispetto alle altre opere nietzscheane.   
Ferraris ridimensiona anche la portata delle manipolazioni di Elisabeth, che al di là delle oggettive responsabilità avrebbe pagato a causa del meccanismo della donna parafulmine che attira sudi sé l’aggressività suscitata dall’uomo che le sta a fianco che proprio il fratello aveva diagnosticato. Così ella sarebbe diventata la falsificatrice da incolpare per tutte le affermazioni nietzscheane ritenute inaccettabili, la creatura demoniaca ». In realtà le falsificazioni di Elisabeth furono operate nell’ambito dell’epistolario, soprattutto per quanto sta alle lettere che erano state indirizzate a lei e alla madre, e poi nella ricostruzione della biografia del fratello. Comunque. ad avviso di Ferraris, ella non presentò La volontà di potenza come un’opera definitiva, ma come un insieme di Studien und Fragmente, e non vi appose nulla di suo, operando semmai smembramenti e omissioni, sopprimendo brani di carattere violentemente anticristiano e alcuni riferimenti crudamente polemici a Adolf Stòcker, predicatore alla corte degli Hohenzollern, e al cognato, l’attivista antisemita Bernard Fòrster.
Fondamentale intenzione di Ferraris è di sottolineare come Elisabeth non abbia aggiunto nulla che potesse in qualche modo accostare la filosofia del fratello all’ideologia di un movimento politico come il nazionalsocialismo, che nel 1906 era ancora di là da venire. Rimangono anzi immutate, nel testo pubblicato, le critiche spietate della rozzezza e grevità dello spirito dei tedeschi, dell’ottusità del nazionalismo — e del pangermanesimo in particolare — e della politica degli Hohenzollern, In fine dei conti, se fosse possibile, come Ferraris crede, riscontrare affinità essenziali tra il pensiero di Nietzsche e il nazismo, ciò sa­rebbe addebitabile esclusivamente al filosofo.
Nessuno ha del resto contestato in sé l’idea della ripubblicazione de La volontà di potenza, principalmente in considerazione del suo valore storico. Sono state le divergenze interpretative rispetto all’edizione Colli-Montinari e soprattutto l’opinione di Ferraris secondo cui tale edizione non avrebbe fornito prospettive sostanzialmente innovatrici alla considerazione del pensiero nietzscheano a provocare le vivaci reazioni del direttore editoriale di Adelphi, Roberto Calasso, e di Franco Volpi, che per le stesse edizioni sta curando la traduzione del Nietzsche di Heidegger. Ma ciò che ha veramente avvelenato la polemica sono state le affermazioni di Ferrarìs che lasciano trasparire una non remota vicinanza tra Nietzsche e il nazionalsocialismo. « La storia politica», ha sostenuto il docente dell’ateneo triestino, ha mostrato, per esempio, che le nozze di sangue tra Hitler e la Germania non erano dettate nemmeno dalla razionalità dell’accrescimento dello spazio vitale, bensì da qualcosa che si portava di là della vita. E per questo non si può dire che Nietzsche, che pure non aveva visto il mondo in cui questa potenza si sarebbe dispiegata, non l’avrebbe voluto e avrebbe pensato o richiesto tutt’altro. In base ai dati di cui disponiamo tra editi e postumi, avrebbe forse potuto volerlo e amarlo». Un argomento che sembra ripercorrere la teoria del compimento (Erfullung) costruita negli anni Trenta dagli ideologi della cosiddetta Nietzsche­-Bewegung, secondo la quale se Nietzsche avesse potuto vivere all’epoca del Terzo Reich, vi avrebbe visto la realizzazione dei suoi sogni.
Fin dall’inizio della sua Storia della Volontà di potenza, riproponendo interrogativi già formulati da Derrida, Ferraris si chiede il perchè del richiamo delle istituzioni culturali nazionalsocialiste proprio a Nietzsche e non ad un altro filosofo. La questione però viene lasciata maliziosamente in sospeso, e nello sviluppo del saggio sembra risolversi, in modo un po’ sottinteso e assai semplicistico, nell’opinione che ciò può essere accaduto per l’intrinseca affinità del pensiero di Nietzsche con l’ideologia del movimento hitleriano. Ciò che invece leggendo anche solo La volontà di potenza salta immediatamente all’atten­zione è l’estraneità della filosofia nietscheana all’ideologia vòlkisch fondata sui concetti di popolo e di razza, all’imperialismo pangermanista e ad ogni idolatria dello Stato di origine autoritaria e conservatrice di cui il nazionalsocialismo si è alimentato. Anche la semplice influenza diretta di letture nietzscheane sulla formazione dell’ideologia nazionalsocialista pare da escludere. Aldilà del celeberrimo episodio della visita di Hitler alla sede del Nietzsche-Archiv, dove avrebbe ricevuto in regalo da Elisabeth uno dei bastoni da passeggio del fratello, si può constatare come nel Mein Kampf non vi sia alcun riferimento anche solo indiretto a Nietzsche; e lo stesso si rileva negli altri scritti del Fuhrer, comprese le Conversazioni a tavola pubblicate nel dopoguerra. Certo, alcuni personaggi del suo entourage testimoniano di conversazioni in cui Hitler avrebbe tessuto l’elogio del filosofo, e ne rammentano le letture nietzscheane; ma quello che forse è il più grande dei biografi del capo nazionalsocialista, Joachim Fest, ci ricorda come la sua Weltansohauung sia derivata dalla lettura di opuscoli di volgarizzazione scientitfica, da pamphlets razzisti e antisemiti, da trattati di filosofia della storia, da opere sul germanesimo, sull’eugenetica e sulle dottrine di Darwin. Alfred Rosenberg cita invece più dì una volta il nome di Nietzsche ne Il mito del XX secolo; ma lo fa in un modo talmente superficiale e periferico da indurre ad escludere una sua conoscenza approfondita dei testi; e per giunta tenendo il filosofo a distanza, al di là degli elogi di rito, per il carattere pericolosamente individualistico di molti suoi argomenti.

Se l’incidenza concreta del pensiero nietzscheano sul movimento hitleriano appare un’ipotesi difficilmente sostenibile, certa è invece l’utilizzazione a fini politico-culturali della figura e dell’opera di Nietzsche operata dagli apparati nazionalsocialisti dopo la conquista de] potere, tramite la citata Nietzsche-Bewegung, di cui fu principale animatore Alfred Baeumler. Tale strumentalizzazione deformante fu possibile poiché da un lato la critica della modernità, la furiosa polemica anticristiana, il relativismo morale e epistemologico, il concetto di volontà di potenza. e dall’altro le forme di un pensiero che si esprime per immagini, figure, simboli, intuizioni abbaglianti e che tratta i concetti astratti con maestria ma quasi mai con il rigido incedere dell’analisi razionale dei trattati teoretici, favorivano la trasformazione di una filosofia ostica, complessa e tutt’altro che univoca, in una Weltanschauung funzionale alla prassi esistenziale e politica del nazionalsocialismo.
Mettendo da parte la contestatissima prospettiva interpretativa di Ferraris, è da sottolineare nell’edizione Bompiani la mancanza di cura filologica, di note che rendano chiari al lettore gli interventi di Gast e dì Elisabeth, che non permettano confusioni tra il testo di Nietzsche e i brani che egli annota da altri autori, e via dicendo. Così, se questa edizione va accolta con favore poiché colma una lacuna gravissima per la comprensione delta ricezione nietzscheana, l’insufficienza dell’apparato critico ne fa un’occasione mancata.
Dilungandoci sul dibattito attorno a questa controversa opera, abbiamo finito per tacere sul contenuto. Ci sia consentito limitarci ad accennare che essa permette di addentrarsi in alcune questioni problematiche ancora fondamentali per il nostro tempo, do­ve traspaiono compiti immani rimasti inevasi dal pensiero di Nietzsche, che, come notava Ernst Junger ne “il cuore avventuroso”, allo stesso modo delle imprese più ardue dell’arte rimangono spesso nel mondo dell’incompiuto: a prosa della Volontà di potenza, un campo di battaglia del pensiero non ancora sgombro di cadaveri, il relitto di una solitaria, tremenda responsabilità, cabina di comando piena di chiavi gettate li da qualcuno che non ebbe più il tempo di usarle ».
Paolo Villa
Diorama Letterario, numero 165, Febbraio 1993, pagine 19-22