martedì 31 marzo 2020

Vita eroica di Nietzsche




Daniel Halévy
Vita eroica di Nietzsche
Il Borghese, 1974, Roma

Dalla quarta di copertina.

Biografia, storia filosofica, ritratto di un artista nel quadro del suo tempo, nei suoi rapporti con la cultura, l’amore, la follia, la morte, questo libro è un’analisi totale del fenomeno Nietzsche, frutto di cinquantanni di studio. Halévy, infatti, nel 1892, è uno dei primi lettori di Nietzsche e il suo primo traduttore. Nel 1909, pubblica Una vita di Friedrich Nietzsche, che rimane un classico, cui si rifaranno tutti i biografi e gli studiosi successivi, e che sarà il germe di questa nuova, grande opera.

Quale il filo conduttore che segue Halévy? Nietzsche è un autore difficile », egli scrive, « mascherato più che rivelato da queste o quelle formule clamorose che fecero sussultare un immenso uditorio, pronunciate quasi tutte negli ultimi mesi di vita, tormentati dal delirio ». Ora, si tratta dì scoprire, al di là delle formule, l’uomo vivo e il pensatore, e di rivelare il significato di « una delle avventure più singolari ed eroiche che siano mai state tentate nell’universo dello spirito ». Perciò Halévy combatte i luoghi comuni, del Nietzsche pangermanista, nichilista e figlio dell’Ottocento, facendo rivivere in queste pagine il filosofo-poeta che, per una miracolosa coincidenza, si trovò a varcare le Alpi, in carrozza, a fianco di un vecchio che si chiamava Giuseppe Mazzini, e che gli lasciò, come viatico, una massima di Goethe: « Per il bello, per il bene, per il vero, vivere risolutamente ».

giovedì 26 marzo 2020

Friedrich Nietzsche - La volontà di potenza



recensione: 
Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza
Bompiani, Milano 1992, pagg. 713, lire 40000.

Nel marzo del 1887, Friedrich Nietzsche trascorreva le ultime settimane del suo soggiorno invernale a Nizza. Di lì a poco sarebbe partito per l’Engadina, fuggendo la calura che avrebbe fiaccato ancor di più il suo corpo indebolito dalla malattia e la luce accecante della Riviera, troppo violenta per i suoi occhi gravemente sofferenti. Durante quei giorni di marzo, il 17, appuntò un piano per un’opera divisa in quattro libri, che avrebbe dovuto avere per titolo La volontà di potenza. Tentativo di una tra svalutazione di tutti i valori.
Non era il primo appunto in cui veniva prefigurata un’opera che portasse quel nome. La prima comparsa risale al 1885. La prima edizione di Al di là del Bene e del Male, del luglio 1886. riporta di copertina l’annuncio della prossima pubblicazione de La volontà di potenza. Trasvalutazione di tutti i valori, e ne La genealogia della morale, dell’anno successivo, il rinvio all’opera futura come luogo di indagine di questioni decisive è inserito direttamente nel testo. In queste note, in altre più ampie e in diversi brani dell’epistolario. Nietzsche proponeva ad immaginare la fisionomia di un’opera a cui avrebbe affidato l’estensione della portata teoretica della sua filosofia ed in cui avrebbe provato a compiere il passaggio dalla critica distruttrice della tra­dizione filosofica d’occidente e dall’analisi dell’im­mensa crisi che travagliava l’epoca ad una fase nuova, realizzabile grazie appunto ad una trasvalutazione di tutti i valori.
Quell’opera non vide però mai la luce; ne rimangono 372 aforismi numerati, sulla destinazione dei quali si sono a lungo interrogati gli esegeti. La stessa operazione fondamentale che avrebbe dovuto costruire un ponte al di là del nichilismo s’immerse nell’incompiuto e rimase un compito lasciato in eredità al pensiero del nostro secolo. Si trattava dell’esigenza non di un semplice ribaltamento delle tavole dei valori vigenti nel loro rovescio speculare, ma dell’. inversione di valore » del valore stesso, ossia di un mutamento qualitativo nel modo di concepire e praticare il valore. Le tavole non andavano riscritte, ma infrante e rifondata.
Nietzsche non avrebbe sicuramente immaginalo che, dopo la sua morte, lo schema del 17 marzo 1887 sarebbe diventato il piano su cui la sorella Elisabeth, e il discepolo Peter Gast (pseudonimo di Heinnrich Kòselitz), selezionando tematicamente una vastissima serie di appunti risalenti ad un periodo compreso tra il 1883 e il 1888, avrebbero composto 1067 frammenti in un volume pubblicato nel 1906 come La volontà di potenza. Non era comunque la prima edizione postuma di testi nietzschiani, dal momento che nel 1901 sotto lo stesso titolo era uscita una raccolta di 483 frammenti curata da Gast insieme ad Ernst e August Horneffer, due collaboratori del Nietzsche-Archiv fondato da Elisabeth Fòrster-Nietzsche per provvedere al grande patrimonio di scritti lasciati dal fratello, ormai preda di una demenza irreversibile. A quelle edizioni ne seguiranno altre, ognuna con un numero differente di brani raccolti, ma quella di Gast ed Elisabeth rimase per molti versi la più importante e fu scelta per l’edizione italiana, . tradotta da Angelo Treves e pubblicata nel 1927  casa editrice Monanni di Milano.
Dopo tanti anni di assenza dal panorama editoriale italiano, quella versione de La volontà di potenza è stata ripubblicata da Bompiani dopo una revisione della traduzione ad opera di Piero Kobau e con l’aggiunta di una postfazione di un centinaio di pagine sulla Storia della Volontà di potenza scritta da Maurizio Ferraris, già allievo di Gianni Vattimo e ora professore di Estetica all’Università di Trieste.
Ferraris, già autore tra l’altro di un volume su Nietzsche e la filosofia del Novecento, prova nel saggio a districarsi nell’intricatissimo nugolo di questioni e polemiche sollevate dalla pubblicazione dell’opera postuma. Il nodo polemico attorno al quale ruotano gran parte delle questioni ermeneutiche intorno al testo è stato intrecciato dal destino che ebbe l’opera, spesso considerata La principale responsabile del travisamento del pensiero nietzscheano in senso nazista e del suo sfruttamento al fine dì conferire una dignità filosofica alla politica culturale del Terzo Reich.
La prima questione che si pone è se La volontà di potenza sia considerabile come un’opera di Nietzsche, o fino a che punto la si possa giudicare tale. Tra i numerosissimi esegeti e le loro svariate lesi emergono, per il ruolo fondamentale giocato nella storia delle edizioni nietzscheane, Giorgio Colli e Mazzino Montinari, i quali hanno sottolineato il carattere di assoluta arbitrarietà dell’operazione editoriale che portò il Nietzsche-Archiv a pubblicare il volume sotto il nome del filosofo. Colli ha fatto notare come Nietzsche, per comporre le sue opere, seguisse un metodo di rigida selezione e rielaborazione di una massa incandescente di materiali accumulati col tempo, in cui attraverso un « momento artistico » i brani appuntati divenivano aforismi e andavano a comporre l’opera secondo una grandiosa costruzione « architettonica». Ne La volontà di potenza non vi è nulla di tutto questo: invece della « numerazio­ne architettonica » degli aforismi, vi è solo una compilazione dì una serie di abbozzi tematici di brani preparatori, di appunti indicativi sulla direzione da percorrere, a volte in contraddizione gli uni con gli altri, citazioni da Letture; insomma, un materiale ancora informe, a parte i 372 aforismi numerati. Partendo da questo dato di tatto, l’edizione critica che Colli e Montinari intrapresero all’inizio degli anni Sessanta per le edizioni Adelphi non prese in considerazione la discussa opera, ma restituì per la prima volta nella sua integralità, con rigore filologico e adeguato commento l’immensa messe dei « frammenti postumi » nietzscheani, ordinati cronologicamente.
Altri fattori si aggiungono in sede di valutazione della legittimità della creazione e della pubblicazione de La volontà di potenza: le falsificazioni, le omissioni, scelte ingiustificabili come il frazionamento di un lungo brano in più pseudoaforismi; misfatti già denunciati all’epoca della prima edizione. L’insieme dei problemi ermeneutici e filologici è comunque assai più complesso. Qui l’interpretazione di Nietzsche appare un vero e proprio campo minato dove ad ogni passo il piede corre il rischio di cadere in fallo, anche perché gli esegeti hanno aggiunto valutazioni opposte sui singoli indizi alla difficoltà di seguire i percorsi non univoci del pensiero nietzscheano.
Questi problemi fanno da sfondo alla polemica accesasi attorno alla recente riedizione del volume e alle prospettive interpretative del suo curatore. Colli imputava al concetto di volontà di potenza » di essere un’espressione solamente essoterica, la cui elaborazione forniva una possibilità divulgativa al pensiero nietzscheano, e procedeva a separarla dalla nozione di « trasvalutazione di tutti i valori », per mostrare poi come questa venisse definitivamente accantonata dal filosofo attraverso una serie di passi che culminano nella cancellazione della formula dal frontespizio de L’Anticristo. Ferraris sostiene invece che gli ultimi anni di Nietzsche furono in gran parte dedicati alla meditazione del concetto di « volontà di potenza » indissolubilmente legato alla» trasvalutazione di tutti i valori ». « Sotto questo punto di vista», scrive, « l’invito heideggeriano a leggere le opere di Nietzsche come La Metafisica di Aristotele acquisisce una supplementare validità; Andronico, il ritrovatore delle opere esoteriche e, con lo stesso gesto, l’occultatore delle essoteriche, non pubblicò in ordine cronologico, matematico, creando la Metafisica senza che mai Aristotele avesse pensato a quel titolo e concetto, nè mai abbozzato un piano di organizzazione per un materiale che infatti è incoerente e contraddittorio, di epoche differenti ecc. — proprio come il W[fille]z[ur]M[acht], di cui peraltro Nietzsche ci ha lasciato così tanti piani e abbozzi, e così tante testimonianze anche tra gli editi per quanto riguarda la valenza concettuale». Insomma, nessuno si sognerebbe di demolire La volontà di potenza se non per la convinzione che proprio questa opera, e non le altre, avesse « lavorato per il Terzo Reich»; mentre in essa Ferraris non riconosce possibilità maggiori di strumentalizzazione, o maggiori elementi di affinità col nazionalsocialismo, rispetto alle altre opere nietzscheane.   
Ferraris ridimensiona anche la portata delle manipolazioni di Elisabeth, che al di là delle oggettive responsabilità avrebbe pagato a causa del meccanismo della donna parafulmine che attira sudi sé l’aggressività suscitata dall’uomo che le sta a fianco che proprio il fratello aveva diagnosticato. Così ella sarebbe diventata la falsificatrice da incolpare per tutte le affermazioni nietzscheane ritenute inaccettabili, la creatura demoniaca ». In realtà le falsificazioni di Elisabeth furono operate nell’ambito dell’epistolario, soprattutto per quanto sta alle lettere che erano state indirizzate a lei e alla madre, e poi nella ricostruzione della biografia del fratello. Comunque. ad avviso di Ferraris, ella non presentò La volontà di potenza come un’opera definitiva, ma come un insieme di Studien und Fragmente, e non vi appose nulla di suo, operando semmai smembramenti e omissioni, sopprimendo brani di carattere violentemente anticristiano e alcuni riferimenti crudamente polemici a Adolf Stòcker, predicatore alla corte degli Hohenzollern, e al cognato, l’attivista antisemita Bernard Fòrster.
Fondamentale intenzione di Ferraris è di sottolineare come Elisabeth non abbia aggiunto nulla che potesse in qualche modo accostare la filosofia del fratello all’ideologia di un movimento politico come il nazionalsocialismo, che nel 1906 era ancora di là da venire. Rimangono anzi immutate, nel testo pubblicato, le critiche spietate della rozzezza e grevità dello spirito dei tedeschi, dell’ottusità del nazionalismo — e del pangermanesimo in particolare — e della politica degli Hohenzollern, In fine dei conti, se fosse possibile, come Ferraris crede, riscontrare affinità essenziali tra il pensiero di Nietzsche e il nazismo, ciò sa­rebbe addebitabile esclusivamente al filosofo.
Nessuno ha del resto contestato in sé l’idea della ripubblicazione de La volontà di potenza, principalmente in considerazione del suo valore storico. Sono state le divergenze interpretative rispetto all’edizione Colli-Montinari e soprattutto l’opinione di Ferraris secondo cui tale edizione non avrebbe fornito prospettive sostanzialmente innovatrici alla considerazione del pensiero nietzscheano a provocare le vivaci reazioni del direttore editoriale di Adelphi, Roberto Calasso, e di Franco Volpi, che per le stesse edizioni sta curando la traduzione del Nietzsche di Heidegger. Ma ciò che ha veramente avvelenato la polemica sono state le affermazioni di Ferrarìs che lasciano trasparire una non remota vicinanza tra Nietzsche e il nazionalsocialismo. « La storia politica», ha sostenuto il docente dell’ateneo triestino, ha mostrato, per esempio, che le nozze di sangue tra Hitler e la Germania non erano dettate nemmeno dalla razionalità dell’accrescimento dello spazio vitale, bensì da qualcosa che si portava di là della vita. E per questo non si può dire che Nietzsche, che pure non aveva visto il mondo in cui questa potenza si sarebbe dispiegata, non l’avrebbe voluto e avrebbe pensato o richiesto tutt’altro. In base ai dati di cui disponiamo tra editi e postumi, avrebbe forse potuto volerlo e amarlo». Un argomento che sembra ripercorrere la teoria del compimento (Erfullung) costruita negli anni Trenta dagli ideologi della cosiddetta Nietzsche­-Bewegung, secondo la quale se Nietzsche avesse potuto vivere all’epoca del Terzo Reich, vi avrebbe visto la realizzazione dei suoi sogni.
Fin dall’inizio della sua Storia della Volontà di potenza, riproponendo interrogativi già formulati da Derrida, Ferraris si chiede il perchè del richiamo delle istituzioni culturali nazionalsocialiste proprio a Nietzsche e non ad un altro filosofo. La questione però viene lasciata maliziosamente in sospeso, e nello sviluppo del saggio sembra risolversi, in modo un po’ sottinteso e assai semplicistico, nell’opinione che ciò può essere accaduto per l’intrinseca affinità del pensiero di Nietzsche con l’ideologia del movimento hitleriano. Ciò che invece leggendo anche solo La volontà di potenza salta immediatamente all’atten­zione è l’estraneità della filosofia nietscheana all’ideologia vòlkisch fondata sui concetti di popolo e di razza, all’imperialismo pangermanista e ad ogni idolatria dello Stato di origine autoritaria e conservatrice di cui il nazionalsocialismo si è alimentato. Anche la semplice influenza diretta di letture nietzscheane sulla formazione dell’ideologia nazionalsocialista pare da escludere. Aldilà del celeberrimo episodio della visita di Hitler alla sede del Nietzsche-Archiv, dove avrebbe ricevuto in regalo da Elisabeth uno dei bastoni da passeggio del fratello, si può constatare come nel Mein Kampf non vi sia alcun riferimento anche solo indiretto a Nietzsche; e lo stesso si rileva negli altri scritti del Fuhrer, comprese le Conversazioni a tavola pubblicate nel dopoguerra. Certo, alcuni personaggi del suo entourage testimoniano di conversazioni in cui Hitler avrebbe tessuto l’elogio del filosofo, e ne rammentano le letture nietzscheane; ma quello che forse è il più grande dei biografi del capo nazionalsocialista, Joachim Fest, ci ricorda come la sua Weltansohauung sia derivata dalla lettura di opuscoli di volgarizzazione scientitfica, da pamphlets razzisti e antisemiti, da trattati di filosofia della storia, da opere sul germanesimo, sull’eugenetica e sulle dottrine di Darwin. Alfred Rosenberg cita invece più dì una volta il nome di Nietzsche ne Il mito del XX secolo; ma lo fa in un modo talmente superficiale e periferico da indurre ad escludere una sua conoscenza approfondita dei testi; e per giunta tenendo il filosofo a distanza, al di là degli elogi di rito, per il carattere pericolosamente individualistico di molti suoi argomenti.

Se l’incidenza concreta del pensiero nietzscheano sul movimento hitleriano appare un’ipotesi difficilmente sostenibile, certa è invece l’utilizzazione a fini politico-culturali della figura e dell’opera di Nietzsche operata dagli apparati nazionalsocialisti dopo la conquista de] potere, tramite la citata Nietzsche-Bewegung, di cui fu principale animatore Alfred Baeumler. Tale strumentalizzazione deformante fu possibile poiché da un lato la critica della modernità, la furiosa polemica anticristiana, il relativismo morale e epistemologico, il concetto di volontà di potenza. e dall’altro le forme di un pensiero che si esprime per immagini, figure, simboli, intuizioni abbaglianti e che tratta i concetti astratti con maestria ma quasi mai con il rigido incedere dell’analisi razionale dei trattati teoretici, favorivano la trasformazione di una filosofia ostica, complessa e tutt’altro che univoca, in una Weltanschauung funzionale alla prassi esistenziale e politica del nazionalsocialismo.
Mettendo da parte la contestatissima prospettiva interpretativa di Ferraris, è da sottolineare nell’edizione Bompiani la mancanza di cura filologica, di note che rendano chiari al lettore gli interventi di Gast e dì Elisabeth, che non permettano confusioni tra il testo di Nietzsche e i brani che egli annota da altri autori, e via dicendo. Così, se questa edizione va accolta con favore poiché colma una lacuna gravissima per la comprensione delta ricezione nietzscheana, l’insufficienza dell’apparato critico ne fa un’occasione mancata.
Dilungandoci sul dibattito attorno a questa controversa opera, abbiamo finito per tacere sul contenuto. Ci sia consentito limitarci ad accennare che essa permette di addentrarsi in alcune questioni problematiche ancora fondamentali per il nostro tempo, do­ve traspaiono compiti immani rimasti inevasi dal pensiero di Nietzsche, che, come notava Ernst Junger ne “il cuore avventuroso”, allo stesso modo delle imprese più ardue dell’arte rimangono spesso nel mondo dell’incompiuto: a prosa della Volontà di potenza, un campo di battaglia del pensiero non ancora sgombro di cadaveri, il relitto di una solitaria, tremenda responsabilità, cabina di comando piena di chiavi gettate li da qualcuno che non ebbe più il tempo di usarle ».
Paolo Villa
Diorama Letterario, numero 165, Febbraio 1993, pagine 19-22

mercoledì 18 marzo 2020

Nietzsche e Bachofen

Alfred Baeumler
Nietzsche e Bachofen
Pagine 28 e 29

Bachofen osserva l’antichità, Nietzsche la vuole vivere, identico è il contrasto tra Burckhardt e Nietzsche. Burckhardt parla dell’Agone come uno che sa, ma dal sicuro posto dell’istruito. Nietzsche  par la dell’Agone come un giovanotto, che è deciso a lottare e a vivere. 

Solo da questo rapporto contemplativo con l’antichità la cristianità di Bachofen  diventa comprensibile. Bachofen poteva osservare tranquillamente i simboli purpurei dell’antichità, perchè sia la sua esistenza interna che esterna era  saldamente ancorata alla realtà cristiana.  Sulla base di questa sicurezza  per  usare un termine di Burckhardt dai  molti significati  era possibile quella nuova specifica sintesi di Bachofen, che faceva coincidere la cristianità  con l’antichità, intendendola come perfezione dell’apollinismo antico attraverso una relazione superiore. 

Una tale riconciliazione dei contrasti è possibile solo per colui che osserva,  non per chi agisce, e in quanto Bachofen riesce a equilibrare armonicamente i  contrasti nella sua persona e nella sua opera, egli si rivela un borghese.  

Nietzsche rappresenta il contrario più estremo di questo borghese, in quanto  egli agisce  anche se questo agire si dovesse limitare a rinunciare alle onoranze del mondo borghese, e a condurre  una vita pura nell’aria trasparente della solitudine scelta da se medesimo, Ma  questo contrasto: colui che osserva  colui che agisce non è l’ulti maparola. I nomi Bachofen e Nietzsche hanno veramente forza e profondità simbolica, perchè questo contrasto si abolisce in un ultimo  strato nascosto, lo posso solo accennare in cosa consiste quest’ultimo strato,  li contrasto decisivo tra Bachofen  e Nietzsche è determinato dalla loro relazione col simbolo. (Qui sta anche il contrasto tra Bachofen e Burckhardt)  Bachofen non è nè un colto nè un estatico osservatore, egli è un osservatore inteso in un senso particolare. Non sono nè pensieri, nè solamente immagini, che si rivelano ai suoi sen si, ma sono simboli.  

Per vedere il simbolo ci vuole una particolare qualificazione: addirittura uno scienziato  della più alta intuizione artistica non è in grado di veder un simbolo.  

Chi vede i simboli, non è più un osservatore  nel senso generale, non è neanche uno scienziato intuitivo, lo dobbiamo definire  un saggio. Il saggio, il veggente contemplando può stare da parte. Chi vede ciò che a lui è manifesto, non può più agire. Esiste  una profondità dello sguardo che rende tranquilli. Questa profondità era propria  di Bachofen, è l’ultimo sfondo della sua vita borghese, e nello stesso tempo quello che rende muto ogni rimprovero contro questa vita. Che cos’è il contrario  del veggente, del saggio? Lo psicologo.  Il saggio  sta da parte, il suo sguardo passa sopra il suo secolo e i secoli più vicini,  per sprofondare nella profondità della preistoria. Lo psicologo tiene lo sguardo  diretto con paurosa e avida vigilanza sul suo tempo e i tempi più prossimi. 

Senza dubbio Nietzsche era il più grande psicologo del secolo scorso. Una buona parte della sua fama, anche se non  tutta, si fonda sulla sua psicologia. Ma cosa fa parte della psicologia?  Io rispondo:  tranquillità esterna e sicurezza, la  ‘sicurità”. Chi si trova in pericolo di  vita, a colui cui è imposto un grande atto, chi deve, costui dimentica tutte le psicologie,  

L’audacia di Nietzsche come psicologo, della quale era così orgoglioso, era possibile solo sullo sfondo del sistema  borghese, al quale egli stesso apparteneva  ancora come uno che protesta. Il psicologismo conseguente è il comportamento spirituale,  che lascia per ultima la sicurezza borghese.  

Il tragico nella vita di Nietzsche sta nel fatto che tutto il suo eroismo  non era in grado di liberarlo completamente dal suo secolo,   

La visione dei simboli, la saggezza non si estorce.  

La violenta inquietudine di Nietzsche, che lo spinge all’azione, è il contrario della calma osservazione di Bachofen. Da questa inquietudine, però, è nata soltanto un ‘azione soggettiva, psicologica,  che da parte sua aveva solo conseguenze  soggettive, psicologiche: l’eccitazione  dei giovani. Ma ancora oggi questa  gioventù non si è liberata dal secolo borghese, così come Nietzsche non ne  fu libero, Bachofen, però, il veggente,  era libero da esso. Chi vede il simbolo, non è più un borghese; lo spirito borghese  è ostile al simbolo. Così alla fine si investe il rapporto: come psicologo Nietzsche si rivela attaccato allo  spirito del suo secolo, allo stesso spfrito, al quale egli si oppo se come  persona attiva; come simbolista, Bachofen  supera lo spirito del XIX secolo, dello  stesso secolo cui egli apparteneva  completamente come uomo empirico. Così   li vediamo davanti a noi: l’anziano che guarda, il saggio e il giovane focoso  che tende all ‘azione più alta  il contrasto più bello, più significativo e più produttivo,  che ci può offrire il secolo dei nostri  padri.